Chichibio


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Archivio n° 68

Chichibio è villano di condizione e cuoco di mestiere. Chichibio non ha beni al sole, non ha uno zio prete sui cui lasciti poter far conto, non può vendere la sua spada al migliore offerente perché, fatte le dovute eccezioni per coltelli e seghetti e trinciatrici da cucina, non può annoverare tra i suoi scarni possedimenti neanche lo straccio di una lama.

Ma Iddio, forse afflitto da un vago senso di colpa (ammesso che a quei livelli se ne possa soffrire), gli ha fatto dono di un cervello capace di destreggiarsi con grande prontezza tra le difficoltà della vita, ed elaborare strategie e stratagemmi tali da ridurre lo strapotere dell’aristocratico signorotto, che se non ha su di lui un vero e proprio diritto di vita e di morte, può comunque fargli passare bruttissimi quarti d’ora.

Luminoso esponente di quella nuova classe sociale che nel Trecento si presenta sulla scena della storia per rivendicare una fisionomia sempre più precisa, nonché un ruolo di protagonista nei processi sociali e politici, nella novella “Chichibio e la gru” Giovanni Boccaccio si identifica con l’umile e scaltro cuoco secondo un procedimento letterario che permette di mimetizzare la propria ideologia e farla scivolare più agevolmente nella coscienza del lettore. Siamo, in pratica, alla doratura della pillola.

E Chichibio ben si presta ad indossare i panni del sottoposto che, disperando di poter reggere il confronto in campo scoperto, ricorre ad una sorta di guerriglia in cui la parola si mette a disposizione dell’astuzia, per assicurare il trionfo dell’intelligenza disarmata sulla stupidità armata.

Prototipo di altri sottoposti, che la letteratura successiva licenzierà a ritmo sostenuto (si pensi ai servi molieriani o, perché no?, ad alcune delle più popolari maschere della nostra Commedia dell’Arte), Chichibio è personaggio a tutto tondo che offre un ottimo pretesto per imbastire, in forma di testo teatrale, il ritratto di un’epoca ormai legata alla nostra più antica memoria collettiva, e allo stesso tempo offrire allo spettatore di oggi un motivo di riflessione su alcune costanti della vita dei singoli e delle collettività che, se tramontate nell’aspetto esteriore, continuano ad agire sotto le subdole spoglie dell’archetipo.

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